“Senza i nonni? Sei spacciato!” – I servizi per l’infanzia visti da Federica Sgorbissa, giornalista scientifica presso Sissa Medialab

Qualche giorno fa abbiamo pubblicato una breve analisi dei risultati del questionario, ragionando su un tema sottolineato da molti dei nostri rispondenti: i temi legati ai servizi per l’infanzia. Per ogni tema, un’intervista. Andando alla ricerca sul territorio di chi vive in prima persona queste tematiche.
E’ la volta di Federica Sgorbissa, giornalista scientifica e mamma.

Chi sei? E cosa ci fai in un’intervista a proposito di mamme e servizi per l’infanzia?
Mi chiamo Federica Sgorbissa. La mia attività principale è quella di giornalista scientifica, anche se più in generale mi occupo di comunicazione della scienza in diversi modi: didattica, musei e mostre scientifiche, editoria e progetti di ricerca europei nell’area Science&Society. Lavoro per SISSA Medialab dove, fra le altre cose, sono il direttore di una rivista online di notizie scientifiche. Sono finita in questa intervista ovviamente perché sono mamma di una bambina ancora piccoletta, tre anni e mezzo. Adesso lei va alla materna.

Sei soddisfatta della condizione attuale dei servizi per l’infanzia nella città di Trieste?
Quest’anno siamo passate dall’asilo nido alla scuola materna. Mia figlia – che non si può proprio dire che sia una bambina timida – probabilmente l’ha presa meglio di me. Siamo passate dall’ambiente molto protettivo e ovattato del nido, al caos della materna. Non sono certo una che va per il sottile in queste cose, ma soprattutto mi ha colpito il rapporto sfavorevole tra il numero degli insegnanti e quello dei bambini.

Non so esattamente quale sia da regolamento il rapporto preciso alla materna, ma so che per esempio per una buona parte della mattinata la maestra di Anja è sola con la classe (più di venti bambini), mentre al nido credo che ci fosse un’insegnante ogni sei piccoli. Una bella differenza. In generale vedo che date le condizioni sfavorevoli l’attenzione verso ogni singolo bambino è minore. In un certo senso è giusto, crescono e devono rendersi più indipendenti, però forse così è un po’ troppo. Anche per le maestre deve essere dura.

Il problema più grave comunque credo che sia per gli asili nido, per quel che riguarda il numero di accolti: l’anno in cui ho iscritto Anja al servizio (2007) delle 1200 richieste fatte ne sono state accolte solo 700, se ricordo bene. Gli altri 500 si sono dovuti arrangiare.

Altro problema veramente grave è il prezzo del servizio, per i nidi, intendo. Io che sono “ragazza madre” lavoratrice me la sono sfangata con una rata che dai 220 del primo anno è lievitata fino ai 330 del terzo anno (e mi pare già abbastanza oneroso, tenuto conto che non ho uno stipendio faraonico), ma se prendiamo per esempio una coppia di genitori entrambi lavoratori si può arrivare oltre ai 500 euro mensili e più (e ovviamente mi sto riferendo ai prezzi dei servizi pubblici). Se poi una famiglia ha due figli, entrambi al nido, non oso immaginare a quali cifre si possa arrivare.

Quali sono gli aspetti che miglioreresti di questo servizio?
Come ho detto sopra, per quel che riguarda le scuole materne, in un mondo ideale chiederei di aumentare il numero di insegnanti. Per i nidi sicuramente chiederei di aumentare il numero di scuole e/o posti disponibili (possibilmente con rette più eque).

Un’altra miglioria, da non sottovalutare, per quel che riguarda i nidi è quella di supportare maggiormente le mamme che allattano i figli al seno. Ovviamente mi riferisco alle classi dei lattanti.

Io al tempo ho trovato collaborazione, ma basata soprattutto sulla buona volontà e comprensione degli insegnanti. Purtroppo però un regolamento in merito mancava del tutto, per cui sull’argomento regnava il caos.

Bisognerebbe stabilire chiaramente che i genitori se lo desiderano possono lasciare alla scuola il latte materno (in appositi contenitori) da dare ai bambini durate i pasti al posto del latte artificiale che viene usato di default.

Ancora meglio sarebbe dare la possibilità alle mamme che allattano di avere dei momenti in cui possono andare a scuola ad allattare il figlio (almeno fino all’anno di età). Le donne lavoratrici hanno infatti diritto a una pausa giornaliera per l’allattamento. Organizzandosi, magari a orari fissi, le scuole potrebbero venire incontro a queste esigenze.

Ma qui siamo proprio nel campo della fantascienza, immagino. Almeno in Italia.

Dai dati raccolti abbiamo notato che più o meno tutti denunciano dei servizi non in linea con i tempi della nostra società, in primis con gli orari flessibili del mondo del lavoro. Com’è la vita di un genitore senza nonni o come te la immagini?
Senza i nonni sei spacciato. Boh, magari io ho una situazione particolare (separata e con il papà di mia figlia che al momento lavora all’estero), ma io devo ammettere che devo davvero tanto ai nonni che mi hanno aiutato e supportato tantissimo.

Oggi come oggi però, con le persone che sempre più spesso si trovano a trasferirsi per motivi di lavoro, quella di avere i nonni accanto non è più una condizione così frequente. Io paradossalmente quando Anja era molto piccola ho sfruttato la flessibilità del mio lavoro (perché i miei datori di lavoro l’hanno interpretata nel modo più giusto, ma posso assicurare che la gran parte della gente che ha un co.co.co o un co.co.pro non ha dirigenze così eque) per far fronte alla poca flessibilità del servizio.

Ora che sono stata assunta, e ho meno flessibilità oraria, la cosa è un po’ più complicata. Però, come dicevo sopra, al momento il problema di flessibilità del servizio è più grave per i bambini più piccoli, fino ai 2/3 anni.

Qualche problema di orario anche con le scuole materne a dire il vero c’è. Non per chi come Anja va alle comunali che hanno tutto sommato buoni orari (7.30-17.00), ma per chi ha i bambini iscritti alle statali, che fanno un orario dalle 8.00 alle 16.00. Se io lavoro otto ore e in più ho una pausa pranzo obbligatoria non ce la faccio materialmente a portare e riprendermi il figlio da solo. Chi, oggi come oggi, finisce di lavorare alle 16.00?

Trieste secondo i dati recenti ha un’ottima qualità della vita ma ha la natalità più bassa d’Italia, come te lo spieghi?
La natalità è bassa in tutta Italia, e i motivi sono tanti ovviamente, non pretendo di conoscerli tutti. Certo c’è poca tutela del lavoro femminile, soprattutto con i contratti di lavoro atipico, dove si riduce quasi a zero. Le donne con contratto atipico che fanno figli rischiano di restare senza lavoro, e inoltre con un contratto a progetto, per esempio, la pausa massima prevista di maternità si riduce a cinque mesi, di cui due obbligatoriamente da fare prime della data presunta del parto e tre dopo. Avete idea di quanto piccolo è un bambino di tre mesi?

Tra l’altro sono pure pochi i nidi che accettano bambini così piccoli, il che è un controsenso. È vero, non è per niente facile. In più bisogna dirlo c’è anche poco coinvolgimento dei padri nella cura dei bambini. Molto spesso i congedi parentali per l’uomo sono ridotti al minimo. E c’è da dire che anche quando ci sono il maschio italiano tende a scantinare (non lo dico io ma le statistiche).

Se a tutto ciò aggiungiamo i pochi posti disponibili nei nidi, i prezzi e la scarsa flessibilità dei servizi, ci rendiamo conto che non è così semplice diventare genitori nel nostro Paese. Non credo che però a Trieste il servizio sia peggiore di altri posti in Italia (anche se ovviamente migliorabile). Forse qua si fanno pochi figli semplicemente perché l’età media dei triestini è alta. Banale da dire, lo so.

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